Il Santuario

PATERNÒ - SPETTACOLO NATALIZIO

Paternò - Spettacolo Natalizio

La comunità di Rinnovamento nello Spirito "Magnificat Dominum" - che ha sede nel Santuario della Madonna della Consolazione in Paternò - insieme ad altri amici delle Parrocchie cittadine ha proposto quest'anno una rivisitazione dei vangeli dell'Infanzia di Gesù. Il musical dal titolo “L’ATTESO” ha ripercorso una carrellata di brani evangelici musicati e sceneggiati da bambini, giovani e mamme. L'intento è quello di trattare con piglio spumeggiante alcune scene evangeliche in modo da essere facilmente comprensibili ad un pubblico composto da classi scolastiche e famiglie di comunità parrocchiali ai quali è stato proposto in diverse edizioni. La maestria della regista Marcella, dei tecnici e l'entusiasmo delle famiglie hanno permesso di respirare un'aria di gioia e felicità in una serata coinvolgente e distesa su temi che sembrano ormai largamente noti, ma vissuti in scena hanno un inatteso sapore di novità e freschezza insospettabili.

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il Libro di Pippo Cunsolo:"Sotto il manto della Madonna"

Il Santuario e la Confraternita di Maria SS. della Consolazione di Paternò tra documenti e memorie.

Passano gli anni, ma le opere di carità restano

Dopo 60 anni non regge il paragone, la folla di curiosi e fedeli di quel 26 giugno del 1954, come la folla che una volta invadevano le vie e piazze di Paternò per la festa di Santa Barbara o del carnevale, sono un lontano ricordo. L’anniversario del 2014 è stato un avvenimento importante per il santuario un “giubileo”, ma molto diverso da quel giorno di festa del 1954, che ora in pochi ricordano. Michelangelo Virg Per il 60 anniversario la comunità orionina di Paternò con l’aiuto degli amici laici, ha messo su un programma attinente ai tempi moderni sobrio e austero, certo non come quello che avrebbe voluto il comm. Michelangelo Virgillito. Dai ritagli dei giornali dell’epoca, si apprende che il benefattore oltre a finanziare i lavori di completamento del santuario, aveva stanziato dodici milioni di lire solo per i festeggiamenti, un comitato speciale ha curato il programma affinché tutto riuscisse a meraviglia. Festeggiamenti che sono andati avanti per quasi un’intera settimana, giornate scandite da spari di cannone, grande luminaria e passeggiate del corpo musicale di Motefalcione(AV). Grande anche la prima festa della Consolazione, dopo tanti anni il simulacro della Madre Celeste e il suo Consolatore sul fercolo, tutto con sfarzo mai visto prima, sono tornati tra le vie di Paternò. Come scrive Carmelo Ciccia sulla Tribuna siciliana del 1954 “L’inaugurazione del Santuario ha messo un pò di gioia in città; e di questa gioia il Comm. Virgillito ha voluto che potessero godere anche i poveri.” Così dopo la grande festa, nei giorni successivi “Tutti i poveri iscritti negli elenchi del Comune (circa cinquemila) hanno ricevuto dei pacchi-viveri.” Come ci ricorda anche l’avvocato Aldo Caruso, nei giorni della sua sosta a Paternò Michelangelo Virgillito, ha ricevuto migliaia di petizioni e ha dato disposizioni ai suoi amici perchè nessuno restasse deluso. Molte sono state le opere di beneficenza di quel tempo, qualcuna anche bizzarra come il processo a carico della signora Virgillito”. blog 60 Calato il sipario sui festeggiamenti, tornati ai ritmi della normalità ai paternesi di oggi, rimane il magnifico Santuario, luogo di preghiera e di aggregazione anche per generazioni future. Sempre accogliente per ogni penitente, luogo reso accogliente grazie ai sacerdoti della piccola comunità Orionina, che svolgono giornalmente un lavoro silenzioso con don Armando Corrado, don Franco Annis e il rettore direttore don Vito Mandarano oggi i nuovi custodi del Santuario. Un opera moderna di stile romanico, progetto realizzato dall’ingegnere Rosario La Russa, ma rivedendo gli ex voto e le foto dell’epoca, incupisce il cuore sopratutto rivedendo il piccolo vecchio Santuario, andato demolito per far posto al conventino. Si poteva recuperare la struttura ed inglobarla nella nuova costruzione, oggi sarebbe stato meta di turismo religioso come Loreto. Ma nel 1948 la gioia fu così tanta nell’apprendere dell’intervento economico del comm. Virgillito, che molte cose si fecero in fretta, e qualche errore passò inosservato, come la grave decisione, di cui si rese colpevole don Barbaro Longo. Rilegato ormai alla storia, si recò nel capoluogo etneo per vendere l’oro, ex voto dei fedeli, per ricavarne denaro utile per completare la costruzione del santuario. Più che gridare al miracolo, per la borsetta ritrovata presso la biglietteria della circumetnea, perché non pensare invece, che proprio la Madre Celeste non fosse d’accordo a disfarsi di quelle testimonianze d’affetto? indicando in quel gesto di dimenticanza, la chiara volontà di far recedere don Barbaro dalla vendita dell’oro? Parte della memoria, dei figli di Paternò, intrisa di affetto e amore verso la Madonna, cancellato per sempre. E pensare che oggi quei piccoli monili d’epoca, avrebbero potuto far bella mostra se. Ma gli effetti della grande guerra e la scarsità di risorse economiche, giustificano totalmente il grave gesto, di fronte a quello che oggi si mostra, agli occhi dei devoti della Madonna, un Santuario un tempio sacro, per tutti coloro che voglio incontrare Dio.

Oltre al Santuario Michelangelo Virgillito ha contribuito a sostenere economicamente altre opere di carità come l’Albergo dei Poveri, il Conservatorio delle Vergini,l’Oratorio S. Giovanni Bosco, l’Asilo S. Antonio, l’Ospedale Civico. “Non era esclusiva del nostro studio – racconta l’avvocato Aldo Caruso – informare Virgillito, c’erano anche altri suoi amici che lo facevano. Lui era interessato anche ai lavori della Polisportiva, e altre attività che si svolgevano a Paternò in nome suo. Suo amico particolare di assoluta fiducia, era l’avvocato Tano Pulvirenti”. “Virgillito era un uomo d’azione, di grande facoltà – racconta l’avvocato Caruso – se diceva così si deve fare, era così per tutti”. Un suo intervento decisivo fu quando accetto di aiutare una signora originaria di Motta Santa Anastasia, che portando lo stesso suo cognome, qualificandosi come ipotetica lontana cugina, chiese ed ottenne sostegno. “Lui ci chiese di intervenire. Il processo era già incardinato in Corte d’Assise, bisognava sostenere l’imputata accusata di un atroce delitto. Era accusata insieme all’amante di aver ucciso il marito, e dato in pasto ai porci il corpo. Mio padre, insieme all’avvocato Michelangelo Virgillito, cugino del commentatore, intervennero da supporto all’arringa, fu come una coppa di sciampagna a fine di un lauto pranzo”. Uxsoricidio Virgillito

Il 60° compleanno del Magnifico Santuario Maria SS. della Consolazione

Come nel 1954 quando la città si preparava per il grande evento, con la consapevolezza di vivere una bellissima pagina della storia di Paternò, così come poi è stato raccontato, anche sui rotocalchi nazionali. Dopo 60 anni anche ora si freme per mettere a punto le varie manifestazioni, quella religiosa e quelle di contorno. Momento clou la SS. Messa delle ore 20,00 di giovedì 26 giugno, presieduta da Mons. Salvatore Gristina, alla presenza delle autorità cittadine dei rappresentanti della “Fondazione Michelangelo Virgillito” e del popolo. Correva l’anno del Signore 1948 quando al paternese Miclelangelo Virgillito, fu chiesto un aiuto economico per completare la costruzione del Santuario, dedicato alla Madonna della Consolazione. Costruzione già avviata ad opera della Confraternita, con le offerte dei fedeli, devoti della Madonna, su un progetto dell’ingegnere Rosario La Russa, lavori che procedevano lentamente. Così dopo l’intervento economico di Michelangelo, in appena otto anni di lavoro, e per Grazia di Dio, il Santuario con alcune correzioni, fu portato a conclusione. Nel giorno dell’inaugurazione sabato 26 giugno del 1954, l’apoteosi era tutta rivolta al benefattore Michelangelo Virgillito, che con questo evento, suggellò la sua amicizia con il popolo paternese, e con i Padri Domenicani per la Chiesa di Roma.

Sindaco di quel tempo era l’avvocato Gaetano Pulvirenti, intimo amico di Michelangelo Virgillito, ma questo non bastava per risolvere la strisciante crisi politica, mentre cominciava a dissolversi il vecchio equilibrio del gruppo dirigente, come racconta nel suo libro Nino Lombardo. Si arrivò a nuove elezioni amministrative nel maggio del 1956. Ma gli effetti della politica nazionale di quel tempo, dove per altro pesava molto l’influenza del Vaticano, fini per condizionare benevolmente anche la scelta del nuovo sindaco a Paternò. Fu eletto sindaco il democratico Barbaro Lo Giudice che con la sua giunta, negli anni a seguire guidarono i lavori per il completamento dell’istituto Papà Domenico e Mamma Provvidenza, che perfezionavano tutta l’opera meritoria del benefattore.

Michelangelo Virg Michelangelo Virgillito era un uomo d’azione, nel 1954 aveva compiuto 53 anni, a Milano era già un potente uomo d’affari, la sua parabola ascendente non conosceva ostacoli e per giunta ora poteva godere anche dell’amicizia della Santa Sede. Nel 1961 durante l’incoronazione della Madonna lo si vede a suo agio a fianco del Cardinale Ruffini e del vescovo Bentivoglio. Non rinnegò mai le sue origini e sopratutto i suoi amici. A Paternò poteva contare, oltre ai suoi parenti in particolare Ciccio Virgillito, a molti amici, tra questi anche Nino La Russa. Nelle sue visite in città, spesso la sua “base” fu proprio la casa del noto avvocato Giuseppe Caruso, abitazione di fronte la settecentesca scalinata. “L’amicizia con mio padre – racconta il figlio Aldo Caruso – è nata dopo l’inaugurazione del Santuario. Nel 1954 io ero ancora un fanciullo, ricordo poco di quella giornata andai insieme a mio padre per assistere all’evento. Invece ricordo benissimo che il cantiere era inaccessibile, anche per i ragazzi più vivaci. Era impossibile trafugare una tavola per farne un gioco. Ricordo pure che laggiù ove ora sorge il santuario la vegetazione era scarsa, esistevano due grandi alberi di acacie, buone per emulare le gesta di Tarzan. Certo le manifestazioni d’affetto di Michelangelo fin quanto ha potuto, non solo per Paternò, sono state rivolte in abbondanza anche altrove, in Italia e all’estero. A Vigevano aveva fatto collocare un’intera unità coronaria, all’avanguardia per quei tempi”.

Agli inizi degli anni 60, qualcosa comincio ad andare storto per il finanziere dalle origine siciliane, veniva attaccato dalla stampa, per le sue spregiudicate operazioni di borsa, e per le vicende della sua vita privata. Molte delle sue amicizie cominciarono ad inclinarsi, come appunto quella con i padri Domenicani. Usa una metafora l’avvocato Aldo Caruso “Credo ci possa essere qualche venatura letteraria, il criterio del viandante pellegrino di rifarsi alla via frangigena, questa forse la goccia che ha fatto traboccare il vaso, facendo vacillare per sempre l’idillio tra i Domenicani e Virgillito. Ma non mi sento di esprimere giudizio in tal senso. Però agli inizi degli anni 60, – spiega l’avvocato – Virgillito più che rientrare in possesso dei suoi averi, voleva indicare un tracciato diverso. Nacque dunque il problema, che non essendo giudiziario ne politico, ma ecclesiale bisognava per forza risolverlo a Roma”.

Avvocato Aldo Caruso Fu una cosa insolita per un avvocato come Giuseppe Caruso, consigliere comunale nel 1956 eletto tra le fila del Partito Comunista, ad un certo punto della sua vita, ritrovarsi tra gli amici di famiglia, prima i preti, come il domenicano padre Scammacca e poi Michelangelo Virgillito. Successivamente chiamato a redimere la delicata questione fra le due parti. “Fui io a fare da segretario per alcuni giorni a mons. Mario Piazzano incaricato dalla Sacra Congregazione, quando venne da Roma, per aprire l’istruttoria. Dopo aver parlato a Paternò con i padri della comunità domenicana, seguì una riunione ristretta a porte chiuse a Catania, in una casa di Viale XX Settembre. Ma poiché non vi era una precisa idea a chi affidare la cura del santuario, si decise di restituire il bene immobile a Virgillito, e poi con calma trovare un Ordine Religioso che potesse continuare a gestire le anime di quel luogo sacro. Semplice a dirlo ma non a farlo. – dice ridendo l’avvocato Caruso – Gli inghippi burocratici e sopratutto quelli fiscali, fecero andare in escandescenza Virgillito, il quale non si dava pace, seduto accanto a me sbuffava “Oltre ad averlo regalato una prima volta, per riaverlo mi tocca pagare una seconda volta. Infatti era una cifra considerevole a quei tempi, ma in fine con i suggerimenti del notaio messinese il dott. Giuseppe Intersimone, si trovò la via d’uscita”. L’area, in cui sorgevano il santuario e l’istituto, era demaniale questo il motivo della presenza di molti amministratori come Pippo Gennaro e altri, in rappresentanza dell’amministrazione comunale, poiché bisognava sdemanializzare il terreno su cui poggiavano le opere. Una volta sistemata e regolarizzata tutta l’istruttoria, finalmente si poteva affidare il santuario o ai preti secolari, oppure a una nuova congregazione. Il preside Gioachino Pulvirenti nel 1966, quale delegato del sindaco Benfatto, segui la vicenda molto da vicino. Poi nel 1992 nel salone delle suore Domenicane, durante una conferenza, raccontò come Michelangelo Virgillito maturò l’idea di chiamare a Paternò i padri Orionini. Passando spesso dal Viale Caterina da Forlì a Milano, ammirava la grande opera che finiva a piramide del “Piccolo Cottolengo di don Orione”. Così nell’ottobre del 1968 il Cardinale Mons. Palazzini con un telegramma all’avvocato Giuseppe Caruso annunciava l’arrivo silenzioso degli orionini a Paternò.

x blogDopo 60 anni il santuario, proprio in questi mesi, si sta rifacendo il look per continuare a vivere più a lungo ed accogliere in sicurezza i devoti della Madonna della Consolazione, auguri e buon compleanno.

Oggi il Santuario della Consolazione compie 60 anni

Si alza oggi il sipario sul 60 anniversario della consacrazione del Santuario Maria S.S della Consolazione Sarà l’annullo filatelico il primo degli eventi della giornata, inaugurando le due cartoline emesse per l’occasione dell’anniversario,Foto firma contratto poste sponsorizzate dalla Presidenza del Consiglio di Paternò, l’insegnante Laura Bottino. Cartoline realizzate, la prima dal particolare dell’Abside, dipinto realizzato dall’artista catanese Archimede Cirinnà Cartolina con il benefattore Michelangelo-1 con il Commentatore Michelangelo Virgillito, la seconda un acquerello realizzatox blog dall’artista locale Pier Manuel Maria Cartalemi da cui è stato tratto anche il timbro postale per l’annullo.

Archimede Ercole Cirinnà: la figlia Antonella

racconta quando con le sue opere impreziosì Paternò

Il mito leggendario del marinaio è saldamente legato alla pazienza della donna, quella lasciata ad ogni porto, che per amore è lì, ad aspettare. Immagine Archimede Cirinnà, figlio del capitano di marina Antonino Cirinnà, non ha voluto fare il marinaio e neanche ha dato seguito al desiderio del padre, che voleva farlo diventare direttore di banca. Ha preferito l’arte, come il marinaio, ad aspettarlo per sempre, nelle chiese, nelle case di molta gente, le sue opere. Lui stesso scriveva “Quando io sarò morto non basteranno i miei quadri, i miei versi, le mie sculture i miei amori a ricordare che fui”. Quest’anno nel 60° anniversario dell’inaugurazione del Santuario della Madonna della Consolazione, oltre aver ricordato il commentatore Michelangelo Virgillito, che generosamente finanziò la costruzione del Santuario, non possiamo dimenticare l’artista che con le sue pitture ornò il magnifico Santuario, immagini a noi paternesi molto familiari.

Archimede Ercole Sebastiano Cirinnà nacque a Catania nel 1908, a soli 17 anni fu costretto a lasciare lo studio per contribuire con il lavoro a sostenere la mamma rimasta vedova, però di notte studia e continua ad esercitarsi, con i colori. Come fanno tanti artisti, inizia il suo apprendistato nel laboratorio dello scultore Salvatore Zagarella dove poi incontra anche il famoso Emilio Greco, ed altri artisti etnei. Dopo il servizio di leva torna a Catania e collabora con Mario Moschetti, ma la sua fortuna inizia nel 1933 quando inizia a collaborare con Giuseppe Barone per la decorazione della chiesa madre di Carlentini, opera che iniziano insieme, ma di fatto portata a termine da solo. Negli anni della guerra fu destinato a Verona, dove continua a dipingere attratto da quel paesaggio, fonte di grande ispirazione. Cirinna a lavoro-1 Nel 1944 si sposa e arriva la prima figlia Giovanna, spesso anche sua modella. Come artista sogna la libertà odia la guerra per la sua inutilità, motivo per cui diventa partigiano. Ricercato dai tedeschi con la moglie trova rifugio nella Brianza, dopo molto peregrinare, arriva a Montesiro dove nacque la seconda figlia che chiama Antonella. Sin dalle prime opere negli anni trenta Cirinnà col la sua notevole corporatura e il pizzetto alla Caravaggio dimostra la forza del mestiere e della sapienza metrica – scrive Angela Madesani – La sua pittura corposa, materica in cui è la ricerca del colore, delle sue peculiarità, delle sue più disperate tonalità e sfumature. La sua pittura ha una matrice epica, gigantistica in cui si coglie la formazione di scultore, la tensione tridimensionalità che si colloca nel Dna della sua terra, profondamente legata a una sua matrice classica. Archimede Cirinnà era un uomo schivo, non amava la celebrità e la vita mondana, anzi il figlio Antonio ricordando il padre dice “Lui amava il lavoro… lavoro e basta. Adesso preparo un capolavoro. – Un ritratto? – No una bella scacciata”. Per molti anni la Brianza è stata la sua seconda terra, motivo per cui diventa presto noto alla comunità. Nel 1949 vengono organizzate due mostre personali una a Bondeno (Ferrara) e l’altra a Monza presso il Convento dei Frati del Carrobbiolo, è probabile che in una di quelle occasioni il finanziere Michelangelo Virgillito, ormai da anni trapiantato a Milano, conobbe l’artista catanese, al quale successivamente commissionò i lavori del Santuario di Paternò. Nel 1950 Cirinnà tornò nella sua Catania per affrescare l’abside della Chiesa Cristo Re. A Milano realizza una pala d’altare con Cristo Giovanetto e due grandi altorilievo per la cappelle di Leone XIII, e poi, rispondendo alla chiamata del finanziere, accettò di affrescare il Santuario negli anni dal 1951 al 1954 proprio nell’anno dell’inaugurazione del Santuario nasceva Antonio ultimo figlio del Cirinnà. Si racconta che Michelangelo Virgillito portava mamma Provvidenza in cura a Pavia, e poi visitava la Magnifica Certosa fatta erigere nel 1400 dai Visconti. Virgillito chiese al Cirinnà, di riprendere il tema dell’abside nord della Certosa, dove i Visconti Sforza appaiano idealmente uniti al culto della Beata Vergine. Così anche nel Santuario della Consolazione di Paternò l’abside nella zona a destra è ricco di autentici ritratti, come l’ingegnere Rosario La Russa, il preposto Antonino Costa, la nota segretaria la signorina Anna. Le suore dell’ordine Domenicano e lo stesso Cirinnà e Virgillito ritratto col manto in porpora con il plastico del Santuario in mano dedicato alla Madonna. Nella parte sinistra quella dove è rappresento il popolo, molti ritratti sono di persone conosciute dal Cirinnà durante il soggiorno a Paternò, poi divenuti suoi amici come il cavaliere Vincenzo Anicito. La parete a destra della navata centrale ha quattro affreschi con figure tratte dal Vecchio Testamento, Giuditta, Susanna, Sara, ed Ester con Assuero, a sinistra scene della litania tra cui Regina Prophetarum, Consolatrix Afflictorum, Regina Sacratissimi Rosarii. In fondo sopra la porta, un grande affresco della crocifissione. L’affresco della Vergine Madre sul trono Celeste, alimentò non pochi pettegolezzi che riguardano il volto della Madonna, ma solo pettegolezzi e maldicenze, dice la figlia Antonella nella sua bella testimonianza qui riportata per il nostro giornale.

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“Mi sarà difficile accontentare il suo desiderio d’arricchire con ricordi personali il periodo passato da nostro padre a Paternò durante i lavori del Santuario della Madonna della Consolazione perchè come già le ho scritto io ero una bambina tra i sette e gli otto anni, posso raccontarle tutto quello che ricordo.

Mio padre, durante i primi anni dei lavori a Paternò, visse adattandosi nella sacrestia della erigenda chiesa perchè non era riuscito a trovare una casa o anche solo una stanza in paese, le richieste d’affitto erano state astronomiche. Così alloggiò nella sacrestia e i giorni di riposo li passava a Catania presso le sue sorelle mie zie. L’ultimo anno e mezzo dei lavori non riuscendo a stare così a lungo lontano dalla famiglia. cercò una casa con un piccolo giardinetto a Catania e ci fece venire dalla Brianza. Ci scrisse, in quell’occasione (allora il telefono non era cosi diffuso) che ci aveva comprato un cavallo col quale avremmo potuto scorrazzare per le campagne di Paternò. Lo teneva con lui nella sacrestia e lo accudiva personalmente cambiandogli la paglia, dandogli da mangiare e da bere, facendolo uscire nel piazzale antistante la chiesa, allora sterrato. Non avendo, però, l’attitudine ad accudire animali, presto si stancò di doverlo governare e lo rivendette allo stesso che glielo aveva venduto alla metà del prezzo che lui aveva pagato. Quando noi arrivammo in Sicilia, entusiaste all’idea d’avere il cavallo questi non c’era più. La nostra delusione, mia e di mia sorella Giò, fu cocente al punto che volevamo ritornare immediatamente in Brianza. Nostra madre faticò non poco a convincerci a restare e ad andare a scuola in quel paese tanto bello dove però i bambini, sia quelli della strada dove abitavamo che quelli della scuola, parlavano una lingua incomprensibile, ci schernivano di continuo e finivamo,o meglio, io finivo sempre coll’azzuffarmi con loro prendendo sonore sgridate da mia madre. La prima visita che facemmo coi genitori per vedere i lavori, Archi (così chiamavamo in famiglia nostro padre e ancora oggi, quando parliamo di lui, usiamo questo diminutivo) salendo la lunga strada che porta al santuario, costeggiata da piccole case sulla destra e da un bellissimo paesaggio dirimpetto, si fermava a salutare le persone sedute davanti all’uscio,elencandoci che lì viveva questo, più avanti quello, persone di cui però non ricordo nè nomi nè professioni ma ricordo che ci parlava d’uno scultore che Archi diceva essere molto talentuoso (Pippinu Fallica detto Currulidda) e d’una signora molto anziana che cucinava una meravigliosa pasta coi broccoli, pecorino col pepe e “gallozzi” di salsiccia sopra, che lo mandava in estasi. Fu forse dopo un’abbondante mangiata di questa meraviglia culinaria che mio padre fece un sogno per lui terribile. Aveva sognato che ero stata rapita dagli zingari. L’aver sognato che mi portavano via lo spinse a partire immediatamente, senza avvisare nessuno, intraprendendo un viaggio che allora durava tre giorni. Arrivato alla stazione di Milano, prima di prendere gli ultimi due treni che l’avrebbero portato a casa, comperò una grande bambola dai riccioli biondi vestita come una damina del settecento. Arrivò a casa con questa grande scatola, stanco, angosciato, raccontò a mia madre il drammatico sogno. Lei non si spiegava tanta agitazione per un sogno e gli fece costatare che ero in casa, stavo bene e non mi era successo niente. Io rimasi basita per il bellissimo regalo che mi aveva portato, lui mi abbracciò, mi baciò e lo stesso fece con mia madre e mia sorella e ripartì immediatamente, senza riposare, senza mangiare, senza cambiarsi d’abito. Arrivò a Paternò sei giorni dopo e alle persone che gli chiedevano dove fosse sparito per una settimana senza dire niente a nessuno, lui disse semplicemente che aveva sognoato che avevano rapito sua figlia ed era andato a casa per vedere. Salì sul ponte e riprese il lavoro.

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Per l’angelo nero, se per nero intende di colore, l’episodio non si riferisce a Paternò ma alla chiesa di Cristo Re a Catania che mio padre dipinse poco prima. Lui aveva dipinto due angioletti, uno bianco e uno di colore. Il parroco della chiesa alla vista dell’angelo nero fece un tale “schifio” che costrinse mio padre a cancellarlo , sostituendo quegl’ angeli con due ritratti, il mio e quello di mia sorella in veste di angioletti. Questo fatto lasciò mio padre contrariato per anni, e, ogni volta che ne parlava, sempre si arrabbiava. E’ possibile che abbia raccontato quest’episodio a qualcuno a Paternò e sia rimasto nella memoria orale confondendolo poi coi lavori per la chiesa della Consolazione.

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Con i Domenicani, non credo ci siano state grandi liti per disacordo, in quanto i domenicani si sono insediati a inaugurazione avvenuta. Qualche discussione l’aveva avuta con quello che sarebbe diventato il rettore e che ogni tanto veniva a vedere l’andamento dei lavori. Egli aveva voluto a tutti i costi che Archimede realizzasse, oltre ai lavori già stabiliti nel contratto con il comm. Virgillito, anche due statue, che sono quelle delle nicchie, alla fine delle due navate (San Michele e San Giuseppe), insistendo sul fatto che Archi era anche scultore ma senza doverle pagare. Quindi il fatto creò qualche contrasto tra i due che alla fine vide vittorosa l’insistenza del rettore. Altri contrasti, a parte il premere per la fine dei lavori non ne ricordo. Sò che qualche anno dopo i Domenicani sono andati via. Dopo la dipartita dei Domenicani, mio padre andò con degli amici per mostrare loro i lavori della chiesa e constatò che era stata tolta la Via Crucis. Questo lo fece letterarmente inbufalire e se ne lamentò caldamente con il Vescovo il quale “miracolosamente” fece ritornare le tavole al loro posto. Un altro “miracolo” accaduto al tempo dei lavori è stato considerato sempre un fatto inspiegabile. Raccontava Archi che il giorno in cui erano state installate le vetrate della chiesa, nella notte ci fu un temporale violentissimo che scardinò le vetrate e le fece precipitare all’interno della chiesa. Archi dormiva ancora nella sacrestia, entrò nella chiesa giusto in tempo per vedere le vetrate scardinate dal vento e scaraventate a terra. Quello che lo lasciò esterrefatto fu il constatare che cadendo non si erano rotte e che stranamente erano pure rimbalzate planando questa volta dolcemente. Nessuno riuscì a spiegare come erano potute precipitare senza neppure scheggiarsi. Archimede che aveva assistito alla scena disse e ripetè sempre che era stato un “miracolo”.

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Non di “miracolo” ma di “giustizia”, per Archi, il fatto, invece, riguardante una bella ragazza del paese che inspiegabilmente i pettegoli paesani avevano fatto bersaglio di maldicenze. A suo avviso questa ragazza aveva il torto d’essere ingenua e troppo fiduciosa verso il prossimo oltre che molto bella. Mia madre gli suggerì di usarla come modella per la Madonna dell’abside dandole così la considerazione che il popolino pettegolo le voleva togliere e così fu. Questo è tutto quello che mi ricordo circa i lavori del Santuario, ma so che molti anni dopo il nipote del comm. Virgillito commissionò a mio padre un S. Michele Arcangelo per una chiesa di Paternò. DSCF2605 Mi pare che il dipinto fosse piuttosto grande, non so in quale chiesa del paese sia stato collocato è un’opera che non ho mai visto.

Quando io venivo in Sicilia era sempre per aiutare mio padre ad allestire le sue mostre, lavorare nel suo studio, curarlo quando stava male, non avevo mai tempo per fare la turista e non sono ruscita a vedere tutte le opere di mio padre, la Sicilia la conosco attraverso i documentari.”


Per raggiungere Paternò



Per chi viene in auto:

Da Palermo:
dall'autostrada A19 PA-CT, uscite a Gerbini

Da Catania:
SS 121 (superstrada per Adrano), uscite direttamente a Paternò

Da Messina:
dall'autostrada A18 ME-CT, imboccate la tangenziale ovest di Catania e uscite a Misterbianco troverete subito la SS 121